Non basta pulire, bisognerà rafforzare quell’argine

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Quella del venerdì di inizio novembre fu una “lunga notte”. La previsione era di un nubifragio e così fu. Cadde tanta pioggia, in particolare a monte, a cavallo fra la Romagna e il Mugello. Ci furono problemi seri a Palazzuolo con l’esondazione del fiume, la distruzione di infrastrutture e qualche casa allagata. Esondazioni anche a Riolo Terme con allagamenti e tanta rabbia per tanti cittadini. Il passaggio della cresta della fiumana non provocò danni alle rotte sistemate, ma non ancora consolidate, ma al prezzo di avere lasciato correre l’acqua in alcuni terreni di campagna.

A quasi due mesi di distanza da quell’ultimo evento, che ravvivò il clima di incertezza e di paura contro cui stiamo lottando, a che punto siamo? Mi riferisco al fiume Senio, il cui stato però non differisce sostanzialmente da quello degli altri fiumi.

I lavori sono continuati e si sono estesi lungo tutta l’asta fluviale.

Oggi abbiamo cantieri in pianura, a piè di monte e a monte. Questo ci conferma quanto già sapevamo: ogni fiume è un corpo unico e come tale va curato con una visione di bacino – che quindi comprenda affluenti e rii – , dalla sua sorgente alla foce. Il suo punto di maggiore debolezza, per tante ragione che abbiamo già illustrato, è costituito dal tratto che va dal Ponte del Castello, fin oltre Tebano. Quei sei chilometri e più di argine, formano la diga che deve proteggere il centro abitato e le aree produttive di Castel Bolognese. Quell’argine quindi deve “tenere”, al pari del resto.

Fino ad oggi sono stati fatti interventi importanti in corrispondenza delle rotte.

In quei punti l’argine è stato rinforzato, ingrossato, portato a livello, con materiali certamente adeguati come massi ciclopici, argilla e altro. L’alveo e gli argini sono stati puliti dalla vegetazione di troppo – anche se con modalità a volte discutibili – ma non ancora da tutti i detriti. Anche le sponde non sono ancora state completamente rifilate.

Ci sono quindi ancora lavori urgenti da finire per ripristinare la condizione precedente la catastrofe.

E anche questo però non basta. Quello che serve è che quel tratto di argine sia rafforzato per tutta la sua lunghezza. Ciò vuole dire che, tratto per tratto, deve essere rifatto. Deve essere smontato e rimontato. Fino a quando questa operazione non sarà compiuta Castel Bolognese e i comuni a valle saranno per nulla tranquilli. Non si può più aspettare. Occorrono subito nuovi cantieri e nuove disponibilità finanziarie a cui il Governo deve fare fronte con urgenza.

Poi il tema dei progetti speciali che debbono vedere la luce entro marzo prossimo.

Figliuolo, con i suoi poteri commissariali e la sua equipe di studiosi, dovrà dire dove fare passare l’acqua le volte che i fiumi non riusciranno a contenerla.

Cosa si dovrà fare oramai è chiaro.

Il lavoro degli studiosi di rango nazionale promosso dalla Regione ha fornito un contributo decisivo. Si parla di bacini in montagna e collina, di casse di espansione e di casse di laminazione a piè di collina e in pianura, di aree allagabili controllate, se ce ne fosse bisogno. Si afferma che il fiume va visto come un tutt’uno, dalla sorgente alla foce e che la programmazione e la manutenzione vanno  viste a livello di bacino idrografico. Si dice che la vegetazione va controllata perchè svolge una funzione plurima e importante: desertificare il fiume è un errore madornale da non compiere.

Tornando al Senio e al suo tratto dalla via Emilia a oltre Tebano, resta il tema del suo rango che deve essere elevato al pari dell’argine di pianura.

Oramai la scelte sembra siano state fatte. La manutenzione in futuro sarà a carico della Regione. Il lavoro che deve ancora essere fatto ci darà la garanzia che così effettivamente sarà. Se la strada è quella è ora che la Regione e le strutture deputate comincino a prendere decisioni. Ad esempio: cosa si potrà o non si potrà fare nelle golene (orti, frutteti, potranno ancora essere coltivati?). Ai piedi dell’argine ci dovrà essere un’area di rispetto o si potrà ancora coltivare fino a ridosso e casomai, tramutare gli argini in discariche, come spesso abbiamo documentato e segnalato?

Infine il parco fluviale e la ciclovia anch’esse semi distrutte dalla catastrofe.

Quella era un’opera pubblica che veniva usufruita da migliaia di cittadini. Guardava alla qualità della vita e al benessere fisico delle persone. Era quindi un’opera di primaria importanza, al pari delle altre. Non se ne è ancora parlato, ma crediamo sia fuori di dubbio che, nei tempi necessari e con modalità da mettere a fuoco, quell’opera debba tornare a vivere.

Queste foto, scattate dopo l’1 dicembre, ci parlano del lavoro fatto e del tanto che resta da fare.

 

 

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